Il racconto di un elettrosensibile che vive senza la tv, cellulare, frigo, sotto una tenda schermata. «Non
posso uscire di casa e spesso stacco anche il contatore» alla faccia di chi li accusa di avere una malattia di natura psicosomatica , a Giulia e Andrea va la nostra solidarietà .
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UDINE. Niente cellulare. Niente televisione o radio. Niente
microonde e neppure frigorifero. La lista dei “no” per un elettrosensibile è
lunghissima. E si scontra con una società che non può fare a meno di tutto
questo.
Ecco perché «se le onde elettromagnetiche ti fanno stare male,
l’unica soluzione è isolarsi dal mondo», racconta Giulia, nome di fantasia per
una donna friulana di 43 anni costretta insieme con il marito a rifugiarsi in
montagna pur di trovare un po’ di respiro da quella malattia diagnosticata nel
2010.
Tutto comincia il 6 marzo di quell'anno. «Il suo corpo ha un
tracollo che si manifesta con una chiara sensazione di corrente elettrica
diffusa da testa a piedi, tachicardia e la sensazione di morire – racconta oggi
il marito di Giulia, che chiameremo Andrea –. Intuendo che la causa del suo
malessere fosse legata all'ambiente in cui vivevamo, all'alba del 7 marzo siamo
scappati dalla casa che avevamo appena comprato. Soltanto con una valigia. Nei
giorni seguenti le condizioni di Giulia sono leggermente migliorate, ma non
riusciva a stare in piedi: aveva una fortissima emicrania e persisteva la
sensazione di elettricità unita a un senso di congestione, bruciore in tutto il
corpo. Il medico che avevamo non sapeva come occuparsene, ci ha solo prescritto
alcuni esami».