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Lo studio curato da ricercatori italiani e medici
della Società italiana di Medicina Ambientale Sima ( QUI per leggere lo studio completo). ha incrociato i dati di
qualità dell'aria e dei contagi da Covid-19 nel periodo 10- 29 febbraio. Da un
lato infatti sono stati esaminati i dati provenienti dalle centraline di rilevamento
delle Arpa, le agenzie regionali per la protezione ambientale, dall'altra i
dati del contagio riportati dalla Protezione Civile, aggiornati al 3 marzo (questo
al fine di considerare il tempo di incubazione medio di 14 giorni per i quali
si manifestano i sintomi). Le analisi evidenziano una relazione tra i
superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 e Pm2,5 e il
numero di casi infetti da Covid-19, facendo supporre che le polveri sottili si
sarebbero comportate da accelerazione nel contagio dell'infezione.
Infatti è già noto che il particolato atmosferico funziona da carrier,
ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici,
inclusi i virus. I virus si “attaccano” (con un processo di coagulazione) al
particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado
di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono
diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze.
(2017) il numero di casi di morbillo su 21 città cinesi nel
periodo 2013-2014 varia in relazione alle concentrazioni di PM2.5. I
ricercatori dimostrano che un aumento delle concentrazioni di PM2.5 pari a 10
μg/m3 incide significativamente sull'incremento del numero di casi di virus del
morbillo (6). per cui suggeriscono di ridurre le concentrazioni di PM2,5
per ridurre la diffusione dell’infezione
(2010) l’influenza aviaria può essere veicolata per lunghe
distanze attraverso tempeste asiatiche di polveri che trasportano il virus. I
ricercatori hanno dimostrato che vi è una correlazione di tipo esponenziale tra
le quantità di casi di infezione (Overall Cumulative Relative Risk RR) e le
concentrazioni di PM10 e PM2.5 (μg m-3)
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