Parla il docente dell'Università di Padova che, da
anni, si batte su questi problemi. "La legislazione a tutela della salute
è degenerata: troppo permissiva". E attacca i ricercatori dell'Istituto
Superiore di Sanità e dell'Organizzazione mondiale della Sanità: "Troppi
conflitti d'interessi". "A Niscemi i limiti ammessi sono molto
elevati"
"In Italia, con il progredire
delle conoscenze, la legislazione delle strutture che dovrebbero tutelare la salute
è andata via via degenerando verso una permissività che sta dando luogo a
delle preoccupazioni spaventose". Il Professor Angelo Gino Levis,
ordinario di mutagenesi ambientale all'Università di Padova e tra i massimi
esperti italiani degli effetti sulla salute dei campi elettromagnetici, è
scettico verso le istituzioni chiamate ad esprimere un parere sulla nocività
dell'impianto Muos che sorgerà a Niscemi. Eppure è proprio sulla base del
parere espresso dall'Istituto superiore di sanità (Iss) e dell'Organizzazione
mondiale di sanità (Oms) che dipenderà non solo il futuro della nuova
installazione ma anche della grande stazione radio già esistente. "Sono
anni che questi organismi si rifiutano di riconoscere quello che una vastissima
letteratura scientifica ha ormai ampiamente dimostrato - spiega - non
occorre la certezza del 100% per poter stabilire il nesso tra le radiofrequenze
e l'incidenza di alcune forme tumorali".
Professor Levis, che parere ha dell'Iss e dell'Oms?
"Pessimo. Mi sono scontrato spesso con l'Iss. Diversi esponenti dell'istituto sono stati parti avverse in molti processi sugli effetti delle radiazioni elettromagnetiche sulla salute. L'Oms poi, sta vivendo il secondo grande scandalo dopo quello che ha subito per il fumo di tabacco. È arrivata a stabilire la cancerogenicità del fumo con 20 anni di ritardo su quello che era stato già assodato da una corposa letteratura scientifica".
Questo è dovuto ad un diverso parere sui dati scientifici?
"No. i dati parlano chiaro, ma ci sono sovrastrutture che condizionano questi istituti. Le faccio un esempio: nel reparto campi elettromagnetici dell'Oms, esiste un progetto omonimo, diretto da Michael Repacholi. Questo scienziato ha dovuto ammettere in udienze pubbliche, come quella al parlamento australiano, ma anche in altre occasioni - ultima in ordine di tempo l'inchiesta del programma "Report" - di essere finanziato dalle compagnie elettriche e di telefonia mobile. Quindi non poteva essere scelto un organismo peggiore per dare un parere sul Muos . Soprattutto se non si tiene conto dei numerosi conflitti d'interesse".
L'Oms non ha ancora dato un parere però
"Si ma basta vedere la classificazione delle emissioni elettromagnetiche stabilita dallo Iarc (International agency for research on cancer) - che è una delle strutture che fanno capo all'Oms - per nutrire forti dubbi. Le radiazioni a bassissima frequenza e le radiofrequenze, ad esempio, sono state classificate - le prime nel 2001, le seconde nel 2011 - come possibili cancerogene. Cioè con un'evidenza abbastanza significativa sull'uomo, ma con mancanza di dati sugli animali e sui meccanismi d'azione. Ma anche qui, avendo fatto una ricerca sui partecipanti ai gruppi di ricerca che hanno portato a questa classificazione, ho scoperto che circa il 60 per cento di loro aveva pesantissimi conflitti d'interesse. L'ho scritto e pubblicato su numerose riviste scientifiche, e non sono mai stato contestato. Già nel 2002, lo stesso fondatore ed ex direttore dell'Iarc, l'italiano Lorenzo Tomatis, ha denunciato l'aumento tra il 10 e il 30 per cento di esponenti dei gruppi di ricerca viziati da conflitti d'interesse".
Come dovrebbero essere classificate le onde elettromagnetiche allora?
"In Italia, Pietro Comba, uno dei migliori epidemiologi in attività, già nel 1998 pubblicava dei rapporti, certificati anche dall'Iss, in cui queste frequenze venivano classificate come probabili agenti cancerogeni, cioè classe 2A, dietro solo alle radiazioni ionizzanti, che sono sicuri cancerogeni. Al di là delle classificazioni comunque, ci si dovrebbe sempre attenere al principio di precauzione, cioè se esistono delle indicazioni, anche non dati certi, di effetti dannosi per la salute umana, bisogna optare per il rischio zero".
FONTE : REPUBBLICA.it